12 dicembre 2020

Pula, trovate microspie negli uffici del Comune



PULA. Dentro le plafoniere, in alcuni uffici del Comune, c'erano delle microspie. Ben nascoste, certo, perché fino a ieri nessuno se n'era mai accorto. Sono stati gli operai che lavoravano per cambiare alcune lampade a fare la scoperta, prima nell'ufficio dei Lavori pubblici, poi nell'ufficio tecnico. Lo riporta oggi l'Unione Sarda in edicola. Al momento nessuno sa da quanto tempo fossero lì e chi le abbia potute piazzare.

Un fatto "inquietante" secondo la sindaca Carla Medau, che - intervistata dall'Unione - si augura che venga presto fatta chiarezza sull'origine delle cimici. La presenza di microspie è stata quindi segnalata alla polizia e gli agenti della scientifica sono già andati sul posto. Due le possibilità: che siano state posizionate dalla magistratura o da un privato "per chissà quali motivi", dice la sindaca. Saranno le indagini della polizia a chiarire tutto. 

Fonte: https://www.youtg.net/

Articolo:  https://www.youtg.net/primo-piano/31823-pula-trovate-microspie-negli-uffici-del-comune-erano-nascoste-dentro-le-plafoniere

09 giugno 2020

Ravenna: Software Spia nel PC della moglie, marito geloso nei guai


L’uomo lo avrebbe installato per carpire messaggi e foto scambiati sul telefono della consorte. Ieri è partito il processo



Un programma in grado di spiare tutto quello che entra o esce dal nostro cellulare. È il timore di molti, specie all’interno delle coppie che scricchiolano. Un timore che nel caso della protagonista di questa vicenda, una ultra-quarantenne di Ravenna, si era rivelato fondato, come le aveva spiegato il tecnico specializzato a cui si era rivolta. I sospetti alla fine sono ricaduti sull’allora consorte, da cui si è poi separata, un ravennate di qualche anno più grande di lei per il quale ieri, in seguito a opposizione al decreto penale di condanna, davanti al giudice Tommaso Paone e al viceprocuratore onorario Pietro Plachesi, è partito il processo per interferenza illecita nella vita privata (articolo 615 bis del codice penale). La signora si è costituita parte civile e il giudice ha rinviato l’inizio delle udienze istruttorie a fine novembre. Dato che si tratta di un reato perseguibile a querela (le pene previste vanno da 6 mesi a 4 anni di reclusione), per quella data gli ex coniugi potrebbero avere raggiunto un accordo che, come tale, farebbe cessare il processo. Nel frattempo proveremo a raccontarvi una vicenda dalle caratteristiche in fondo potenzialmente molto diffuse. Del resto gli ingredienti di base – una coppia in crisi e un computer di famiglia – sono assai comuni. Si parte dal 19 febbraio 2018 quando la donna, temendo che qualcuno potesse avere il controllo del suo cellulare, si era presentata in questura per una prima querela contro ignoti. Il giorno dopo erano maturati altri sospetti: il pc conteneva qualcosa di strano, una sorta di programma spia capace di raccogliere sia messaggi che foto scambiate con il suo cellulare tramite l’applicazione whatsapp, compresa la geolocalizzazione  (la posizione esatta) dell’apparecchio.

Ecco che aveva deciso di rivolgersi a un tecnico specializzato. Dal tecnico era arrivata la conferma: si trattava proprio di un programma spia collegato al suo telefonino almeno dal 2015 a detta dell’esperto. Lei aveva chiesto di bloccare immediatamente quel tipo di accesso. Quando il marito era tornato, aveva subito notato che il portatile non era più nell’abitazione: e secondo la donna, quando lei gli aveva spiegato di averlo portato a riparare a causa di un malfunzionamento legato all’uso di un programma, lui aveva avuto una reazione di rabbia ed era subito andato dal tecnico per recuperarlo. Ma una volta li, il dipendente non glielo aveva riconsegnato dato che non era stato lui a portarlo: la conseguente discussione, aveva fatto scattare l’intervento di una Volante. Tutto poi messo nero su bianco dalla donna in una seconda querela, contro il marito, nella quale spiegava che lui si era detto molto deluso dal comportamento di lei. E che quando la donna le aveva chiesto spiegazioni circa il controllo del proprio cellulare, l’uomo – ora difeso dagli avvocati Enrico Piraccini e Claudio Cicognani - avrebbe ammesso, tuttavia circoscrivendo l’azione negli ultimi 40 giorni. L’epilogo di questa vicenda lo conosceremo in autunno.

Autore: a.col.

Articolo completo: https://www.ilrestodelcarlino.it/ravenna/cronaca/programma-spia-nel-pc-marito-nei-guai-1.5201054

29 maggio 2020

Si può spiare il telefono di qualcuno?



Si può guardare nel telefonino di altri? In quali casi la polizia può sequestrare lo  smartphone? Quando la privacy può essere violata e quando, invece, è reato?


In Italia ci sono circa 43,6 milioni di smartphone: più delle televisioni possedute dalle famiglie italiane. In pratica, ci stiamo avvicinando alla media di un cellulare a persona. Da questo dato è facile comprendere come possa fare gola, non solo ai malintenzionati ma anche alle persone particolarmente curiose, escogitare modi per poter controllare il telefono delle persone. Ma è possibile fare ciò?
Come vedremo, la risposta a questa domanda è positiva; il problema, però, è che una condotta del genere potrebbe costituire reato: come ti spiegherò, solamente l’autorità pubblica, in alcuni casi, può controllare il telefono delle persone, accedendo pertanto a quello che c’è dentro. Il controllo di cui parleremo è dunque finalizzato non a intercettare le telefonate o le conversazioni ambientali, quanto a violare la privacy che copre i contenuti serbati nel dispositivo mobile. Se l’argomento ti interessa, prosegui nella lettura: vedremo quando si può controllare il cellulare di qualcuno.

Si può guardare nel cellulare altrui?

Per capire se e quando si può controllare il telefono altrui bisogna innanzitutto capire se è lecito o meno guardare nel cellulare di altri.
Mettiamo il caso che il tuo partner si allontani momentaneamente, lasciando lo smartphone sul tavolo. Puoi sbirciare nella sua rubrica, tra i suoi contatti e nelle sue chat personali? C’è violazione della privacy? Dipende.
Secondo la giurisprudenza, se il controllo sul telefono altrui è fatto dal coniuge (o, per estensione, dal proprio partner), allora non può sussistere una violazione della privacy: questo perché, secondo i giudici [1], la privacy tra coniugi o conviventi subisce delle naturali limitazioni per via della condivisione degli stessi spazi.
Diverso è il caso in cui, per spiare sul telefono di altri, si ricorra a stratagemmi, inganni o sotterfugi: in questo caso potrebbe esserci violazione della privacy e, nelle ipotesi più gravi, potrebbe integrarsi perfino un’ipotesi di reato, nel caso in cui, ad esempio, si faccia ricorso alla violenza o alla forza.
Basti pensare che la Corte di Cassazione [2] ha condannato per rapina uomo che aveva spiato le conversazioni della moglie dopo avergli sottratto con violenza il cellulare.

Violazione privacy: cosa succede?

Nel caso in cui controllare il cellulare altrui costituisca una violazione della privacy, la persona “spiata” potrebbe citarti in tribunale per ottenere il risarcimento dei danni.
La sanzione penale, invece, scatta solamente se la violazione della riservatezza riguardi determinati dati personali e sia fatta con l’intenzione di arrecare un danno o di trarre un vantaggio preciso.

È reato spiare il cellulare altrui?

È senz’altro reato spiare il cellulare altrui installando subdolamente dei programmi (cosiddetti spy-software) che consentono di captare le conversazioni ambientali, registrare le telefonate e compiere operazioni di questo tipo.
In un’evenienza del genere si incorrerebbe nel reato di interferenze illecite nella vita privata altrui [3], punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni.
Secondo la giurisprudenza [4], si ha reato anche se la vittima è informata, da terze persone, della presenza dello spy-software sul proprio dispositivo e, nonostante ciò, continui a telefonare. Impossibile, dunque, parlare di consenso» da parte della vittima.
Riuscire a installare sul telefonino di un’altra persona una cimice capace di intercettare le comunicazioni in entrata e in uscita, è un’azione illegale già di per sé sufficiente per una condanna penale.

Polizia: può controllare il cellulare?

Al di là delle ipotesi di intercettazioni telefoniche, a noi qui interessa sapere se le forze dell’ordine possono ficcare il naso nel telefonino dei cittadini, svelandone chat, sms e ogni altro contenuto riservato.
I carabinieri o la polizia, per poter controllare il cellulare, devono procedere al sequestro dello stesso. Secondo la legge [5], per procedere al sequestro preventivo di una cosa la cui libera disponibilità può essere pericolosa per la pubblica sicurezza occorre che vi sia un provvedimento del giudice.
Nei casi di estrema urgenza, quando non è possibile attendere il decreto del giudice né quello del pubblico ministero, la polizia giudiziaria procede d’ufficio, comunicando entro quarantotto ore l’avvenuto sequestro al p.m. affinché lo convalidi.
Dunque, la polizia potrà procedere al sequestro del telefonino solamente se:
  • è già stata emesso un decreto del giudice che consente alle forze dell’ordine di sequestrare il bene; in questo caso, la polizia sarà tenuta a mostrare il provvedimento;
  • anche senza decreto, v’è particolare urgenza a procedere al sequestro. In questa ipotesi, dopo il sequestro verrà trasmesso il relativo verbale al p.m. affinché lo convalidi.
Pertanto, la polizia potrà sequestrare (e, di conseguenza, controllare) il tuo cellulare solamente se vi siano fondati e urgenti motivi: ad esempio, v’è il sospetto che con quel cellulare potresti chiamare alcuni complici per avvertirli del pericolo oppure per comunicare un’intenzione criminosa.

Note:
[1] Trib. Roma, sent. n. 6432/16.
[2] Cass., sent. n. 2429 del 10 giugno 2016.
[3] Art. 615-bis cod. pen.
[4] Cass., sent. n. 15071 del 05.04.2019.
[5] Art. 321 cod. proc. pen.



01 maggio 2020

Brindisi: Microspie e investigazioni a carico dei dipendenti di una azienda senza alcuna autorizzazione, due in manette


BRINDISI- Investigavano piazzando microspie in casa dei dipendenti di una azienda senza alcuna autorizzazione, arrestati. Questa mattina, personale della Divisione Amministrativa e di Sicurezza e della Squadra Mobile ha dato esecuzione a nr. 2 misure coercitive degli arresti domiciliari nei confronti di Antonio Carrozzo, 58 anni, e Angelo D’Alo’, 56 anni, entrambi brindisini.
I provvedimenti cautelari sono stati emessi dal G.I.P. del Tribunale di Brindisi, su richiesta della locale Procura della Repubblica.

Nell’ambito della indagine, inoltre, sono stati indagati ulteriori tre personaggi, due uomini ed una donna, uno sedente a Lametia Terme e gli altri a Brindisi.
Agli arrestati si contesta di aver svolto attività di investigazione, violando il domicilio privato con l’apposizione di microspie, in tal modo minando la privacy delle persone cui l’indagine era diretta, senza essere in possesso delle imprescindibili autorizzazioni di legge.

Infatti, i predetti, in qualità di collaboratori di una agenzia di Affari, sedente a Brindisi, si adoperavano nel materiale svolgimento di indagini che venivano richieste da Aziende, anche del capoluogo, nei confronti di dipendenti di queste ultime, sospettati di assenteismo ingiustificato.
Nonostante la citata Agenzia di Affari non fosse autorizzata allo svolgimento di tale attività, invasiva della sfera privata, le relative fatturazioni e la sottoscrizione dei rapporti di indagine venivano intestati ad un ente di investigazione la cui sede è in Calabria, ubicata a Lametia Terme.
Il quadro probatorio a carico degli arrestati e dei tre indagati è stato raccolto dai poliziotti della Questura in circa un anno di indagine, grazie anche al sequestro di materiale informatico e fotografico.

Sia il D’Alo’ che il Carrozzo sono pregiudicati. Il primo, in passato condannato per truffa, il secondo condannato in Cassazione per concorso in un duplice omicidio avvenuto a Bari nel 1992, quando lo stesso era Sovrintendente della Polizia in servizio alla Questura di Bari.